NON SOLO CELIACHIA: LE COORRELAZIONI CON IL DIABETE DELLE FARINE INDUSTRIALI E DEI PRODOTTY GLUTEN-FREE
L’esplosione delle patologie metaboliche è del tutto moderna, e coincide con il cambiamento degli stili di vita e della qualità del cibo.
Tra queste, offuscata dall’ampia risonanza della gluten sensitivity, c’è il diabete mellito, o di tipo 2, di cui si parla poco nonostante sia la prima malattia correlata all’alimentazione con 60 milioni di malati in tutto il mondo. Oltre ai noti scompensi metabolici legati all’insulina, anche le modificazioni a cui è soggetta la parte amilacea dei nostri cibi ne sono implicate.
‘E’ il diabete la prima malattia correlata all’alimentazione per diffusione mondiale: 60 milioni di casi globalmente’
Nel frumento al pari del glutine anche l’amido è stato oggetto di miglioramento biotecnologico, dato che per ottenere maggiori rese ne è stata aumentata la quantità nel chicco. Va chiarito che con l’aumentare del contenuto di amido quello delle proteine diminuisce e per questo molti grani moderni, contrariamente a quanto si crede, contengono meno glutine rispetto a molte delle vecchie varietà (Geisslitz et al., 2019). Ma di una qualità tenace, che come sappiamo ha creato una nuova casistica di reazioni avverse. Non sono altrettanto note però le conseguenze nutrizionali delle trasformazioni subite dalla struttura dell’amido, che si modifica se sottoposta a riscaldamento in presenza di acqua: tra i 50°C e i 70°C, le sue particelle idratandosi si gonfiano, e generano una viscosità definita come gelatinizzazione; un fenomeno quotidiano, che si riconosce nella collosità della pasta scotta per intenderci. Più un amido si gelatinizza, più è facilmente digeribile dagli enzimi intestinali, che non vuol dire più ‘leggerezza’ ma una maggiore propensione a trasformarsi in glucosio, aumentando la glicemia, misurabile con il famoso indice glicemico (IG) (Ross et al., 1987).
‘molti grani moderni contengono meno glutine rispetto a molte delle varietà antiche. Ma di una qualità resistente, progettata biotecnologicamente, che ha creato le reazioni avverse che conosciamo’
Vediamo cosa succede con la molitura. Quando un amilaceo come il frumento è macinato, le particelle di amido diventano più sottili e questo induce una maggiore capacità di incorporare l’acqua, quindi poi di gelatinizzarsi, comportando l’aumento dell’IG. I cilindri dei mulini industriali poi, lavorando grosse quantità di granella a grandi velocità, si scaldano e possono raggiungere anche i 60°C. Insieme al fatto che per facilitare la molitura la granella viene umidificata, ecco che otteniamo una parziale gelatinizzazione. Anche se con il raffreddamento avviene un processo inverso, detto retrogradazione, per il quale l’amido tende a tornare alla struttura precedente, tale processo non è del tutto reversibile, per cui è vero che le farine vengono poi raffreddate, ma questo non evita del tutto l’aumento dell’IG. In sintesi, maggiore è la temperatura in fase di molitura, maggiore è il grado di raffinazione, maggiore sarà l’IG della farina. Ecco perché la molitura a pietra è da favorire. ‘Frantumando’ il chicco, e non ‘sfogliandolo’ come fanno i cilindri dei mulini industriali, ne conserva gli strati esterni ricchi di minerali, vitamine e fibre. Inoltre le macine a pietra lavorano piccole quantità di granaglie e a bassi giri, e non superano mai i 42°C, ben al di sotto del range della gelatinizzazione.
‘Il riscaldamento delle farine industriali nella fase di molitura genera una trasformazione dell’amido complesso in semplice. Innalza l’indice glicemico, induce un introiezione occulta di zuccheri. Ma non lo sappiamo’
La processazione industriale delle farine induce un’alterazione dell’amido che ne cambia la natura anche a livello nutrizionale, e genera nell’alimentazione un’introiezione occulta di zuccheri disponibili. Come nel ‘pane comune’, con farine altamente raffinate e parzialmente pre-gelatinizzate, con un IG intorno ai 70. Guardiamo alla differenza con quello integrale dove gli amidi restano grossolani, meno ‘idrolizzabili’ dunque, e insieme alle fibre costituiscono una barriera per l’assorbimento intestinale. Se si aggiunge il lievito naturale, che contribuisce a ridurre ancora di più l’IG, ne risulta uno ben più basso, tra 35 e 45.
‘L’alimentazione gluten-free, promossa come salutare, è quella che invece espone di più al rischio diabetico. Ma non lo dicono’
Discorso a parte merita l’alimentazione senza glutine, la cui industria si è organizzata in specifiche filiere che sopperiscono la mancanza, in fase di trasformazione, del vituperato polimero gluteninico. Oltre all’uso di additivi, agglutinanti e addensanti, qui la gelatinizzazione, e la ‘viscosità’ che conferisce alle farine, è proprio ricercata ed indotta, per compensare la mancanza di forza agglutinante nella massa da trasformare in pasta, pane e derivati. Per questo i molini dedicati alla sfarinatura gluten-free basano il loro funzionamento proprio su alte temperature e alti gradi di umidità, per ottenere farine pre-gelatinizzate stabilizzate. Non a caso l’IG del pane bianco senza glutine si aggira tra i 90 e i 95.
Troppo poco si dice sul rischio di esposizione diabetica in questo tipo di alimentazione, come in quella più diffusa basata su prodotti raffinati e industriali.
Geisslitz, S., Longin, C. F. H., Scherf, K. A., & Koehler, P. (2019). Comparative Study on Gluten Protein Composition of Ancient (Einkorn, Emmer and Spelt) and Modern Wheat Species (Durum and Common Wheat). Foods, 8(9), 409.
Ross, S. W., Brand, J. C., Thorburn, A. W., & Truswell, A. S. (1987). Glycemic index of processed wheat products. The American journal of clinical nutrition, 46(4), 631-635.
American Heart Association. “Low gluten diets linked to higher risk of type 2 diabetes.” ScienceDaily, 9 March 2017. <www.sciencedaily.com/releases/2017/03/170309120626.htm>.