E’ a ragione di 18 anni di sudata carriera in cucina, da taglia-patate a chef, e ora come imprenditrice agricola, che offro questi elementi per riflettere su uno dei fenomeni più fuorvianti della nostra società: la moda che ha posto il cibo e il cuoco sotto i riflettori di un’attenzione mass-mediatica senza precedenti.
Basta essere del settore, e aver ficcato il naso nella realtà della produzione alimentare, per smascherarla.
Dopodiché, invece che a Masterchef, si finisce come me in un corto-circuito etico.
Uno – Siamo quello che mangiamo. Il consumo collettivo, quello nei ristoranti, alberghi, catering, è il mercato dove regna la GDO, la grande distribuzione organizzata, che fa da raccordo sistemico tra la produzione intensiva e i bassi prezzi che siamo disposti a pagare per un pasto. La disponibilità di cibo, che deve essere immediata, sovrabbondante e basso costo, ha smantellato la qualità alimentare in ‘sotto-criteri’ tecnici quali prezzo appunto, reperibilità costante, lunga conservazione, trasporto facile, abbattimento del tempo di lavorazione. Quella del cibo di massa è una qualità ‘funzionale’, che invece della freschezza, della territorialità, necessita di ottimizzazione, di materie prime di dubbia provenienza e additivi di ogni genere. Cosa emerge di tutto questo nelle foto postate sui social?
Due – Cucine da incubo. Da essere considerato meno che un operaio, la figura del cuoco è invece alla ribalta, affascinante come una rockstar, onnipresente in tv e nelle auto-proclamazioni professionali. Ecco che dopo un corso, o qualche mese di pratica, l’aspirante si presenta ai formatori del personale come me dichiarandosi ‘cuoco’, addirittura ‘chef’. Che significa ‘capo’, esperienza dunque, e responsabilità. E’ invece la fuga ciò che ho osservato con più frequenza, quando la facile poesia della cucina si infrange nella durezza della professione. La vita sociale sparisce, come ogni festività, sostituite da giornate di 10-15 ore, tensione altissima e rischi reali per la salute fisica e nervosa. Presupposta da un talento non scontato, la libera creatività è imbrigliata nella dittatura del food-cost, che pone tutto entro stretti limiti di budget.
Tre – Non è oro quello che luccica. Grandi eventi a basso costo, alti costi di gestione, e quel fenomeno per cui la ristorazione è divenuto un modo per riciclarsi da altri settori, e il gioco dello sfruttamento è fatto: esubero di offerte e scarsa qualificazione, che determinano bassissime paghe orarie, largamente in nero, mancanza dei comuni diritti lavorativi, e per molti una vita passata come riserva di manodopera. La precisa controparte dell’atmosfera festosa di un banchetto, elegantemente vestiti, è un’organizzazione militaresca, necessaria per i moltissimi fattori che devono essere raccordati per rispondere alle pretese dell’evento perfetto. Ma che diventa un esercito infernale quando si basa sullo sfruttamento di risorse umane e ambientali, con spreco di cibo e produzione di rifiuti inquantificabile.
Quattro – Morte della gastronomia. Quella che un tempo era la cultura del prodotto e del territorio di origine oggi si chiama foodismo, un insieme di criteri puramente estetici e sociali che gira i ristoranti affamato di selfie e di immagini patinate. Piatti che simulano uno status sociale, intesi come opere d’arte, me è considerabile arte quella che si riproduce grazie allo sfruttamento massiccio di lavoro e di risorse? Il ‘voyeurismo della pietanza’ e la ‘spettacolarizzazione della cucina’ sono proprio lo strumento, necessario al consumismo, per occultare la degenerazione alimentare, lo scempio ambientale e la degradazione sociale che l’odierna industria del cibo costituisce.
Per contrastare tutto questo occorre agire, oltre il criticismo.
Primo: trovate il tempo per scoprire come viene fatto il cibo, che è il solo modo per sapere se è buono, e bello.
Secondo: armatevi di umiltà se volete essere un cuoco, partite da un angolo sotto la guida di veri maestri, in una lunghissima strada non adatta a tutti. L’improvvisazione, oltre che frequenti fallimenti economici, sta generando lo scadimento di tutto il settore.
Terzo: non commissionate le abbuffate, scegliete menù ricercati ma sobri, occasioni intime, e pagate il giusto prezzo, per non alimentare corse a ribasso e speculazioni. E rispettare il lavoro delle persone e l’ambiente.
Quarto: spegnete la tv, ché il cibo è vita, è una vasta cultura che va appresa con la coscienza e con il cuore, oltre che con gli occhi.